Giornali alla macchia

Il progetto Giornali alla macchia, realizzato in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, ha l’obiettivo di rendere disponibili, per lettura e ricerche, i giornali clandestini pubblicati nel periodo resistenziale e anche oltre, custoditi nell’emeroteca e negli archivi degli Istituti. Il portale Giornali alla macchia. I periodici della Resistenza: Novara, Biella, Vercelli e Vco mette a disposizione per la consultazione le digitalizzazioni delle testate dell’Ossola libera e l’intera collezione de “La Stella Alpina”, organo del comando unificato garibaldino del Sesia-Cusio-Ossola e Verbano, poi settimanale indipendente d’informazioni.

La stampa clandestina
In genere, si considerano “stampa clandestina” i periodici prodotti e diffusi, senza autorizzazioni, da organizzazioni ritenute illegali da regimi tirannici e dittatoriali, da occupanti dei territori nazionali o più semplicemente da poteri che negano la libertà di espressione e di stampa. Storicamente, tale tipo di stampa si è sviluppata per veicolare idee e progetti politici in contrasto e opposizione con quelli dei regimi autoritari come, ad esempio, nel caso dell’Inghilterra di Carlo I o nella Francia rivoluzionaria oppure ancora nell’Italia risorgimentale (specie nel regno del Lombardo-Veneto). Ma il caso più noto, per quantità e qualità, riguarda senza dubbio la Resistenza (sia italiana che europea) ai regimi fascisti e nazisti del secolo scorso e l’antifascismo in genere. Non vi fu regione, organizzazione politica, sindacale, militare o di classe che non produsse nelle forme e nei modi più disparati e spesso fantasiosi periodici clandestini distribuiti in altrettante forme e modi disparati e fantasiosi.

Giornali e periodici clandestini
La stampa clandestina della Resistenza è generalmente identificata con quella prodotta dalle organizzazioni che si opposero al fascismo, principalmente formazioni partigiane, partiti, sindacati, organizzazioni di massa giovanili e/o delle donne. Poteva trattarsi di giornali veri e propri, oppure di fogli di piccole, medie o grandi dimensioni, di semplici volantini o di poverissime veline, datsebao (manifesti murali) ante litteram. I periodici clandestini della Resistenza hanno avuto tutte le forme possibili e immaginabili, in relazione alle condizioni in cui vennero prodotti. «Esce come e quando può», scritta sovente riportata, tradisce una periodicità spesso solo intenzionale. Per non parlare dei diversi tipi di stampa che rivelano l’occasionalità se non la vera e propria avventura della produzione (per mancanza di carta, di inchiostri, ecc.): si va dal dattiloscritto al ciclostilato, dalla stampa in foglio unico (in stamperie anch’esse clandestine) a normalissimi giornali prodotti in tipografie magari temporaneamente “liberate”. Quasi sempre mancano sicuri riferimenti ai luoghi e alle date di uscita, alle responsabilità (di direttori, redattori, corrispondenti) cosa che ha sempre rappresentato un vero rebus per bibliotecari e catalogatori. Firme di fantasia (nomi di battaglia) o semplici sigle, e generi disparati degli articoli: dalla controinformazione alla poesia, dal ricordo dei compagni caduti all’analisi politica, dal racconto di invenzione al resoconto dell’azione militare. Numeri unici o numeri perduti, vere e proprie serie, diversità di ideali e di obiettivi, configurano questo genere di stampa come un interessantissimo laboratorio di libertà: di espressione e di stampa appunto, in un contesto di costante pericolo. La delazione sempre in agguato, la ferocia della repressione, i rischi della distribuzione. Leggere un giornale clandestino (del resto come ascoltare una radio non autorizzata), portarlo addosso, distribuirlo comportava pene durissime: dall’arresto alla deportazione alla morte. Se non in rarissimi casi non si hanno dati sulla tiratura e le modalità di sotterranea distribuzione (spesso affidata alle donne, alle staffette), ma certamente i giornali clandestini hanno rappresentato concretamente la prima e più efficace forma di alfabetizzazione alla democrazia oltre che efficaci strumenti di controinformazione. Ne è testimonianza il fatto che spesso i destinatari di un giornale diventavano a loro volta editori, magari copiando e aggiungendo o modificando notizie a livello locale. Ne risulta che lo stesso numero di giornale è a volte diverso da luogo a luogo.

La stampa delle organizzazioni novaresi e valsesiane
La natura, le forme, la complessità con cui si sviluppò il movimento di liberazione nei territori dell’antica provincia di Novara, la presenza di quasi tutte le forze politiche dell’antifascismo, l’insediarsi di formazioni partigiane di diversa ispirazione ideale e politica, la specificità del territorio (a ridosso delle grandi città e in confine con la Confederazione elvetica) fanno della stampa clandestina di queste zone un caso emblematico che non ha eguali in nessun’altra parte ove si combatté la guerra di liberazione. Un esempio su tutti, l’esperienza della zona libera dell’Ossola nel settembre-ottobre 1944 in cui vennero stampate una decina di testate di ogni tipo e rappresentatività, con tirature impressionanti, a testimonianza di come la libertà di stampa fosse concreta misura della riconquistata anche se provvisoria libertà. In nessun’altra esperienza di zona liberata in Italia e in Europa si registrò una tale esplosione di pubblicazioni periodiche. Ma altrettanto interessanti sono i giornali stampati alla macchia dalle forze politiche e dalle formazioni partigiane sia al piano che tra le montagne. Di straordinario interesse poi i cosiddetti giornali murali prodotti dalle diverse brigate partigiane. Infine, fenomeno particolare fu, nell’immediato dopoguerra, la produzione di numeri unici o numeri speciali (supplementi) dedicati al ricordo e alla rievocazione di eventi tragici o gloriosi della Resistenza, zona per zona, paese per paese.